aux participants au cours de la Rote romaine
de Léon XIV
Date de publication : 21/11/2025
Texte original
DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AI PARTECIPANTI AL CORSO DI FORMAZIONE GIURIDICO-PASTORALE
DELLA ROTA ROMANA
Sala Clementina
Venerdì, 21 novembre 2025
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
La pace sia con voi!
Good morning, buenos dias, buongiorno! Benvenuti tutti!
Rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto. Ringrazio il Decano della Rota Romana e quanti hanno collaborato per queste giornate di studio e di riflessione che intendono diffondere una valida cultura giuridica nella Chiesa. Mi rallegro della vostra presenza numerosa e qualificata, come risposta generosa alla sollecitazione che ogni buon operatore del diritto della Chiesa sente per il bene delle anime.
Il filo conduttore che oggi ci guida è il decimo anniversario della riforma del processo di nullità matrimoniale, portata avanti da Papa Francesco. Nel suo ultimo Discorso alla Rota, il 31 gennaio scorso, egli ha parlato degli intenti e delle principali novità di tale riforma. Rimandando alle parole del mio amato Predecessore, in quest’occasione vorrei proporvi alcune riflessioni ispirate dal titolo del vostro Corso: «A dieci anni dalla riforma del processo matrimoniale canonico. Dimensione ecclesiologica, giuridica, pastorale».
Mi pare utile considerare la relazione che intercorre tra questi tre approcci. Non di rado tale rapporto viene dimenticato, poiché si tende a concepire la teologia, il diritto e la pastorale come compartimenti stagni. È anzi piuttosto frequente che vengano implicitamente contrapposti tra di loro, come se il più teologico o il più pastorale comportasse il meno giuridico, e viceversa il più giuridico fosse a scapito degli altri due profili. Viene così oscurata l’armonia che, invece, emerge quando le tre dimensioni sono considerate come parti di una medesima realtà.
La scarsa percezione di tale intreccio proviene principalmente da una considerazione della realtà giuridica dei processi di nullità matrimoniale come un campo meramente tecnico, che interesserebbe esclusivamente gli specialisti, oppure come un mezzo che mira solo ad ottenere lo stato libero delle persone. Si tratta di una visione superficiale, che prescinde sia dai presupposti ecclesiologici di quei processi, che della loro rilevanza pastorale.
Tra quei presupposti ecclesiologici vorrei ricordarne specialmente due: il primo concernente la sacra potestà che viene esercitata nei processi giudiziari ecclesiali al servizio della verità, e il secondo attinente all’oggetto del processo per la dichiarazione della nullità matrimoniale, cioè il mistero dell’alleanza coniugale.
La funzione giudiziaria, come modalità di esercizio della potestà di governo o giurisdizione, rientra a pieno titolo nella realtà globale della sacra potestà dei pastori nella Chiesa. Tale realtà viene concepita dal Concilio Vaticano II quale servizio. Si legge in Lumen gentium: «L’ufficio che il Signore affidò ai pastori del suo popolo, è un vero servizio, che nella sacra Scrittura è chiamato significativamente “diaconia”, cioè ministero (cfr At 1,17.25; 21,19; Rm 11,13; 1Tm 1,12)» (n. 24). Nella potestà giudiziaria opera un aspetto fondamentale del servizio pastorale: la diaconia della verità. Ogni fedele, ogni famiglia, ogni comunità ha bisogno di verità circa la propria situazione ecclesiale, in ordine a compiere bene il cammino di fede e di carità. In questa cornice si situa la verità sui diritti personali e comunitari: la verità giuridica dichiarata nei processi ecclesiastici è un aspetto della verità esistenziale nell’ambito della Chiesa.
La sacra potestà è partecipazione della potestà di Cristo, e il suo servizio alla verità è una via per conoscere e abbracciare la Verità ultima, che è Cristo stesso (cfr Gv 14,6). Non è un caso che le prime parole dei due Motu proprio con cui è stata avviata la riforma riguardassero Gesù, Giudice e Pastore: «Mitis Iudex Dominus Iesus, Pastor animarum nostrarum» in quello latino, e «Mitis et Misericors Iesus, Pastor et Iudex animarum nostrarum» in quello orientale.
Possiamo chiederci perché Gesù come Giudice sia stato presentato in questi documenti come mite e misericordioso. Una tale considerazione può apparire a prima vista come contraria alle esigenze inderogabili della giustizia, che non possono venir meno in virtù di una malintesa compassione. È vero che nel giudizio di Dio sulla salvezza è sempre operante il suo perdono del peccatore pentito, ma il giudizio umano sulla nullità matrimoniale non dovrebbe essere, però, manipolato da una falsa misericordia. Va certamente ritenuta ingiusta qualsiasi attività contrastante con il servizio del processo alla verità. Tuttavia, proprio nell’esercizio retto della potestà giudiziaria dev’essere esercitata la vera misericordia. Possiamo richiamare un passo di Sant’Agostino nel De civitate Dei: «Cos’è la misericordia se non una certa compassione del nostro cuore alla miseria altrui, mediante la quale, se ci è possibile, siamo spinti ad alleviarla? E questo movimento è utile alla ragione quando la misericordia si offre in modo da conservare la giustizia, tanto nell’aiutare al bisognoso quanto nel perdonare il pentito». [1] In questa luce, il processo di nullità matrimoniale può essere visto come un contributo degli operatori del diritto per soddisfare il bisogno di giustizia che è così profondo nella coscienza dei fedeli, e realizzare così un’opera giusta mossa da vera misericordia. Lo scopo della riforma, tendente all’accessibilità e alla celerità nei processi, tuttavia mai a scapito della verità, appare così quale manifestazione di giustizia e di misericordia.
Un altro presupposto teologico, specifico del processo di nullità del matrimonio, è lo stesso matrimonio, in quanto fondato dal Creatore (cfr Gaudium et spes, 48). Nel Giubileo delle famiglie ho ricordato che «il matrimonio non è un ideale, ma il canone del vero amore tra l’uomo e la donna: amore totale, fedele, fecondo». [2] Come ha sottolineato Papa Francesco, il matrimonio «è una realtà con una precisa consistenza», «è un dono di Dio ai coniugi». [3] Nel Proemio di Mitis Iudex viene riaffermato, nel contesto della riforma processuale, «il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale». [4] Nel trattare le cause di nullità è decisivo questo realismo: la consapevolezza di operare al servizio della verità di una concreta unione, discernendo cioè davanti al Signore se in essa sia presente il mistero dell’ una caro, che sussiste per sempre nella vita terrena dei coniugi, nonostante qualsiasi fallimento relazionale. Carissimi, quale grande responsabilità vi attende! Infatti, come ci ricordava il Papa Benedetto XVI, «il processo canonico di nullità del matrimonio costituisce essenzialmente uno strumento per accertare la verità sul vincolo coniugale. Il suo scopo costitutivo […] è quindi rendere un servizio alla verità». [5]
Per questo, anche Papa Francesco nel Proemio del Motu proprio, precisando il senso della riforma, volle riaffermare la grande convenienza di ricorrere al processo giudiziario nelle cause di nullità: «Ho fatto ciò, comunque, seguendo le orme dei miei Predecessori, i quali hanno voluto che le cause di nullità del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa, non perché lo imponga la natura della cosa, ma piuttosto lo esiga la necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo: e ciò è esattamente assicurato dalle garanzie dell’ordine giudiziario». [6]
Occorre valorizzare l’istituzione del processo giudiziario, vedendola non come un farraginoso accumulo di requisiti procedurali, bensì come uno strumento di giustizia. In effetti, impostare una causa assicurando che le parti, compreso il difensore del vincolo, possano addurre le prove e le argomentazioni a sostegno della propria posizione, e possano conoscere e valutare gli stessi elementi apportati dall’altra parte, in un dibattimento condotto e concluso da un giudice imparziale, costituisce un grande bene per tutti gli interessati e per la stessa Chiesa. È vero che specialmente nella Chiesa, come peraltro nella società civile, bisogna adoperarsi per trovare accordi che, garantendo la giustizia, risolvano i litigi per via di mediazione e di conciliazione. Molto importante in tale senso è lo sforzo per favorire la riconciliazione tra i coniugi, anche ricorrendo, quando è possibile, alla convalidazione del matrimonio. Tuttavia, vi sono casi in cui è necessario ricorrere al processo, perché la materia non è disponibile per le parti. È ciò che avviene nella dichiarazione della nullità matrimoniale, in cui è coinvolto un bene ecclesiale pubblico. Esso è espressione del servizio della potestà dei pastori alla verità del vincolo coniugale indissolubile, fondamento della famiglia che è Chiesa domestica. Dietro la tecnica processuale, con l’applicazione fedele della normativa vigente, sono dunque in gioco i presupposti ecclesiologici del processo matrimoniale: la ricerca della verità e la stessa salus animarum. La deontologia forense, incentrata sulla verità di ciò che è giusto, deve ispirare tutti gli operatori del diritto, ciascuno nel proprio ruolo, a partecipare in quell’opera di giustizia e di vera pace alla quale è finalizzato il processo.
La dimensione ecclesiologica e quella giuridica, se realmente vissute, fanno scoprire la dimensione pastorale. Anzitutto, è cresciuta negli ultimi tempi la consapevolezza circa l’inserimento dell’attività giudiziaria della Chiesa in ambito matrimoniale nell’insieme della pastorale familiare. Questa pastorale non può ignorare o sottovalutare il lavoro dei tribunali ecclesiastici, e questi ultimi non devono dimenticare che il loro specifico contributo di giustizia è un tassello nell’opera di promozione del bene delle famiglie, con particolare riferimento a quelle in difficoltà. Tale opera è di tutti nella Chiesa, tanto dei pastori quanto degli altri fedeli, e lo è in un modo peculiare degli operatori del diritto. La sinergia tra l’attenzione pastorale alle situazioni critiche e l’ambito giudiziario ha trovato una significativa manifestazione nell’attuazione dell’indagine pregiudiziale rivolta anche ad appurare la sussistenza di ragioni per avviare una causa di nullità.
D’altra parte, lo stesso processo ha in sé un valore pastorale. Lo mise in luce San Giovanni Paolo II in questi termini: «L’attività giuridico-canonica è per sua natura pastorale. Essa costituisce una peculiare partecipazione alla missione di Cristo Pastore, e consiste nell’attualizzare l’ordine di giustizia intraecclesiale voluto dallo stesso Cristo. A sua volta, l’attività pastorale, pur superando di gran lunga i soli aspetti giuridici, comporta sempre una dimensione di giustizia. Non sarebbe, infatti, possibile condurre le anime verso il Regno dei Cieli, se si prescindesse dal quel minimo di carità e di prudenza che consiste nell’impegno di far osservare fedelmente la legge e i diritti di tutti nella Chiesa». [7]
In definitiva, le tre dimensioni, appena richiamate, portano a riaffermare la salus animarum come suprema legge e finalità dei processi matrimoniali nella Chiesa. In questo modo il vostro servizio come operatori della giustizia nella Chiesa, che anch’io ho condiviso alcuni anni fa, rivela la sua grande trascendenza ecclesiologica, giuridica e pastorale.
Nell’esprimere l’auspicio che la verità della giustizia risplenda sempre più nella Chiesa e nella vostra vita, imparto di cuore a tutti voi la mia Benedizione.
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[1] IX, 5: PL, 41, 261.
[2] Omelia nel Giubileo delle famiglie, dei nonni e degli anziani, 1º giugno 2025.
[3] Francesco, Discorso alla Rota Romana, 27 gennaio 2023.
[4] Francesco, Motu proprio Mitis Iudex, Proemio.
[5] Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, 28 gennaio 2006, AAS 98 (2006), p. 136.
[6] Francesco, Motu proprio Mitis Iudex, Proemio.
[7] S. Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, n. 4.
Texte Français
Discours du pape Léon XIV aux participants au cours de la Rote romaine
Salle Clémentine
21 novembre 2025
Au nom du Père, et du Fils, et du Saint-Esprit.
La paix soit avec vous !
Good morning, buenos días, buongiorno ! Bienvenue à tous !
J’adresse à chacun de vous mon salut cordial. Je remercie le Doyen de la Rote romaine et tous ceux qui ont collaboré à ces journées d’étude et de réflexion, destinées à diffuser une véritable culture juridique dans l’Église. Je me réjouis de votre présence nombreuse et qualifiée, en réponse généreuse à la sollicitude que tout bon opérateur du droit dans l’Église ressent pour le bien des âmes.
Le fil conducteur qui nous guide aujourd’hui est le dixième anniversaire de la réforme du procès de nullité matrimoniale, conduite par le Pape François. Dans son dernier Discours à la Rote, le 31 janvier dernier, il a parlé des intentions et des principales nouveautés de cette réforme. En renvoyant aux paroles de mon bien-aimé Prédécesseur, je voudrais vous offrir, en cette occasion, quelques réflexions inspirées par le titre de votre cours : « Dix ans après la réforme du procès matrimonial canonique. Dimension ecclésiologique, juridique, pastorale ».
Il me paraît utile de considérer la relation qui existe entre ces trois approches. Il n’est pas rare que cette relation soit oubliée, car on tend parfois à concevoir la théologie, le droit et la pastorale comme des compartiments étanches. Il est même assez fréquent qu’on les oppose implicitement, comme si plus de théologie ou plus de pastorale signifiait moins de droit, et comme si plus de droit se faisait au détriment des deux autres dimensions. Ainsi est obscurcie l’harmonie qui apparaît lorsque ces trois dimensions sont considérées comme les parties d’une même réalité.
La faible conscience de cet entrelacement provient principalement d’une vision de la réalité juridique du procès de nullité matrimoniale comme d’un champ purement technique, intéressant exclusivement les spécialistes, ou comme un moyen destiné seulement à obtenir l’état libre des personnes. Il s’agit d’une vision superficielle, qui fait abstraction tant des présupposés ecclésiologiques de ces procès que de leur portée pastorale.
Parmi ces présupposés ecclésiologiques, je voudrais en rappeler spécialement deux : le premier concerne la sacra potestas exercée dans les procès judiciaires ecclésiastiques au service de la vérité, et le second touche à l’objet du procès de déclaration de nullité matrimoniale, c’est-à-dire le mystère de l’alliance conjugale. La fonction judiciaire, comme modalité d’exercice de le pouvoir de gouvernement ou de juridiction, entre pleinement dans la réalité globale de la sacra potestas des pasteurs dans l’Église. Le Concile Vatican II la conçoit comme un service. On lit dans Lumen gentium : « La charge que le Seigneur confia aux pasteurs de son peuple est un vrai service, qui dans l’Écriture sainte est significativement appelé “diaconie”, c’est-à-dire ministère » (n. 24). Dans le pouvoir judiciaire opère un aspect fondamental du service pastoral : la diaconie de la vérité. Chaque fidèle, chaque famille, chaque communauté a besoin de vérité concernant sa propre situation ecclésiale, afin d’accomplir fidèlement son chemin de foi et de charité. C’est dans ce cadre que se situe la vérité sur les droits personnels et communautaires : la vérité juridique déclarée dans les procès ecclésiastiques est un aspect de la vérité existentielle dans l’Église.
La sacra potestas est participation à la potestas du Christ, et son service de la vérité est une voie pour connaître et embrasser la Vérité ultime, qui est le Christ lui-même (cf. Jn 14,6). Il n’est pas surprenant que les premières paroles des deux Motu proprio qui ont lancé la réforme se réfèrent à Jésus, Juge et Pasteur : Mitis Iudex Dominus Iesus, Pastor animarum nostrarum dans celui de l’Église latine, et Mitis et Misericors Iesus, Pastor et Iudex animarum nostrarum dans celui des Églises orientales.
Nous pouvons nous demander pourquoi Jésus, en tant que Juge, a été présenté dans ces documents comme doux et miséricordieux. Une telle qualification peut, à première vue, sembler contraire aux exigences incontournables de la justice, qui ne peuvent être dépassées au nom d’une compassion mal comprise. Il est vrai que, dans le jugement de Dieu sur le salut, son pardon du pécheur repentant est toujours à l’œuvre ; mais le jugement humain sur la nullité matrimoniale ne doit pas pour autant être manipulé par une fausse miséricorde. Toute activité contraire au service que le procès rend à la vérité doit être considérée comme injuste. Cependant, c’est précisément dans l’exercice droit de la potesté judiciaire que doit s’exercer la vraie miséricorde. Rappelons ici un passage de saint Augustin dans La Cité de Dieu : « Qu’est-ce que la miséricorde sinon une certaine compassion de notre cœur pour la misère d’autrui, qui nous pousse, si cela nous est possible, à l’alléger ? Et ce mouvement est utile à la raison lorsque la miséricorde se déploie de manière à conserver la justice, tant dans l’aide apportée au nécessiteux que dans le pardon donné au repentant. » (1) À cette lumière, le procès de nullité matrimoniale peut être compris comme une contribution des opérateurs du droit destinée à répondre au besoin de justice, si profond dans la conscience des fidèles, et ainsi accomplir un acte juste, mû par une véritable miséricorde. Le but de la réforme — favoriser l’accessibilité et la rapidité des procès, mais jamais au détriment de la vérité — apparaît ainsi comme une manifestation de justice et de miséricorde.
Un autre présupposé théologique propre au procès de nullité matrimoniale est la réalité même du mariage, fondé par le Créateur (cf. Gaudium et spes, 48). Lors du Jubilé des familles, j’ai rappelé que « le mariage n’est pas un idéal, mais le canon du véritable amour entre l’homme et la femme : un amour total, fidèle, fécond » (2). Comme l’a souligné le Pape François, le mariage « est une réalité dotée d’une consistance précise », « un don de Dieu aux époux » (3). Dans le préambule de Mitis Iudex est réaffirmé, dans le contexte de la réforme procédurale, « le principe de l’indissolubilité du lien matrimonial » (4). Dans le traitement des causes de nullité, ce réalisme est décisif : la conscience d’œuvrer au service de la vérité d’une union concrète, en discernant devant le Seigneur si le mystère de l’una caro y est présent — mystère qui demeure pour toujours dans la vie terrestre des conjoints malgré tout échec relationnel. Chers amis, quelle grande responsabilité vous attend ! En effet, comme nous le rappelait le Pape Benoît XVI, « le procès canonique de nullité du mariage constitue essentiellement un instrument pour constater la vérité du lien conjugal » ; son but propre « est donc de rendre un service à la vérité » (5).
C’est pourquoi, dans le préambule du Motu proprio, le Pape François, précisant le sens de la réforme, a voulu réaffirmer l’importance du recours au procès judiciaire dans les causes de nullité : « J’ai agi ainsi, suivant pourtant les traces de mes prédécesseurs, qui ont voulu que les causes de nullité du mariage soient traitées par voie judiciaire et non administrative, non parce que la nature des choses l’exige, mais plutôt parce que la nécessité de protéger au plus haut degré la vérité du lien sacré le requiert : et cela est précisément assuré par les garanties de l’ordre judiciaire. » (6).
Il faut donc valoriser l’institution du procès judiciaire, en ne la voyant pas comme un ensemble pesant d’exigences procédurales, mais comme un instrument de justice. En effet, engager une cause en assurant que les parties — y compris le défenseur du lien — puissent apporter leurs preuves et arguments, et puissent connaître et évaluer ceux de l’autre partie, dans un débat conduit et conclu par un juge impartial, constitue un grand bien pour toutes les personnes concernées et pour l’Église elle-même. Il est vrai que, dans l’Église comme dans la société civile, il faut œuvrer pour trouver des accords qui résolvent les litiges par la médiation ou la conciliation, pourvu que la justice soit garantie. Dans ce sens, l’effort en faveur de la réconciliation des époux est très important, recourant, lorsque c’est possible, à la convalidation du mariage. Toutefois, il existe des cas où le procès est nécessaire, car la matière n’est pas disponible aux parties. C’est le cas des déclarations de nullité matrimoniale, qui concernent un bien ecclésial public. Elles expriment le service que les pasteurs rendent à la vérité du lien conjugal indissoluble, fondement de la famille comme Église domestique. Derrière la technique procédurale et l’application fidèle des normes en vigueur, ce sont donc les présupposés ecclésiologiques du procès matrimonial qui sont en jeu : la recherche de la vérité et la salus animarum. La déontologie juridique — centrée sur la vérité de ce qui est juste — doit inspirer tous les opérateurs du droit, chacun dans son rôle, pour participer à cette œuvre de justice et de véritable paix qui constitue la finalité du procès.
La dimension ecclésiologique et la dimension juridique, lorsqu’elles sont réellement vécues, révèlent la dimension pastorale. D’abord, a grandi ces derniers temps la conscience de l’intégration du travail judiciaire dans l’ensemble de la pastorale familiale. Cette pastorale ne peut ignorer ni sous-évaluer l’œuvre des tribunaux ecclésiastiques ; réciproquement, ces tribunaux ne doivent pas oublier que leur contribution spécifique de justice est une pierre essentielle dans l’action de promotion du bien des familles, particulièrement celles en difficulté. Cette œuvre appartient à tous dans l’Église, pasteurs et fidèles, et d’une manière particulière à ceux qui œuvrent dans le domaine juridique. La synergie entre l’attention pastorale aux situations critiques et le domaine judiciaire a trouvé une expression significative dans la mise en œuvre de l’enquête préliminaire destinée, entre autres, à discerner s’il existe des motifs pour introduire une cause de nullité.
Par ailleurs, le procès lui-même possède une valeur pastorale intrinsèque. Saint Jean-Paul II l’avait mis en lumière ainsi : « L’activité juridico-canonique est par nature pastorale. Elle constitue une participation singulière à la mission du Christ Pasteur, et consiste à actualiser l’ordre de justice intra-ecclésial voulu par le Christ lui-même. De son côté, l’activité pastorale, tout en dépassant largement les seuls aspects juridiques, comporte toujours une dimension de justice. Il serait impossible de conduire les âmes vers le Royaume des Cieux en faisant abstraction de ce minimum de charité et de prudence qui consiste à veiller fidèlement à l’observation de la loi et des droits de chacun dans l’Église. » En définitive, les trois dimensions évoquées — ecclésiologique, juridique, pastorale — conduisent à réaffirmer que la salus animarum est la loi suprême et la finalité des procès matrimoniaux dans l’Église. Ainsi, votre service comme opérateurs de la justice dans l’Église — un service que j’ai moi-même exercé il y a quelques années — révèle sa grande portée ecclésiologique, juridique et pastorale.
En exprimant le vœu que la vérité de la justice resplendisse toujours davantage dans l’Église et dans vos vies, je vous accorde de tout cœur ma Bénédiction.
___________________
[1] Cité dans De civitate Dei, IX, 5.
[2] Omelia nel Giubileo delle famiglie, dei nonni e degli anziani, 1º giugno 2025.
[3] Francesco, Discorso alla Rota Romana, 27 gennaio 2023.
[4] Francesco, Motu proprio Mitis Iudex, Proemio.
[5] Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, 28 gennaio 2006, AAS 98 (2006), p. 136.
[6] Francesco, Motu proprio Mitis Iudex, Proemio.
[7] S. Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, n. 4.
Traduction de l'agence Zenit, disponible en ligne.